sabato 1 marzo 2008

Arte, tecnica e cambiamento. Quando l’arte è comunicazione del presente

"La pigrizia è il motore del progresso. E’ lo stimolo che ci spinge ad ottenere ciò che desideriamo facendo il minimo di fatica fisica; il massimo risultato col minimo sforzo è ormai una legge di economia. Si può dire che nel nostro organismo, nel nostro corpo, ci sono due entità distinte con due caratteri distinti: una è il cervello che va con la velocità del pensiero, l’altra sono i muscoli che cercano di fare meno fatica possibile. Ma siccome per ottenere qualcosa che il cervello pensa, occorre spesso mettere in funzione i muscoli, e dato che i muscoli tendono alla pigrizia, ecco che il cervello inventa un sistema per ottenere la stessa cosa facendo lavorare i muscoli il meno possibile.
Succede anche spesso che il cervello rinunci a certe cose proprio perché si farebbe troppa fatica per averle. Il massimo desiderio dell’uomo è quello di premere un pulsante e avere quello che vuole stando sdraiato su di un comodo divano. Tutte le macchine che abbiamo inventato sono fatte apposta per sostituire i muscoli: invece di camminare si sediamo nell’auto, invece di lavorare a mano un pezzo di ferro, usiamo il tornio; il principio è quello di arrivare allo scopo non solo senza fatica fisica ma anche con maggiore precisione. Tutti sanno che un pezzo di metallo tornito a macchina è più preciso di uno tornito a mano, e che un cerchio disegnato a mano è meno preciso di un cerchio fatto col compasso. Difatti, dopo l’invenzione di questi strumenti, nessuno più fa i cerchi a mano; si può affermare anzi che quando si intuisce, osservando un oggetto fatto a mano, che l’autore ha dovuto fare molta fatica per ottenerlo, si prova come un senso di pena: un buon acrobata non fa mai vedere lo sforzo.
Anche nel campo artistico un prodotto fatto con rapidità conserva tutta la vita che era presente al momento concepitivo: le foglie di bambù di un dipinto cinese o giapponese sono fatte in un attimo, ma sono state osservate per lungo tempo. Osservare a lungo, capire profondamente, fare in un attimo. Cervello e muscoli lavorano nelle migliori condizioni: il prodotto è vivo.
[…] L’arte è un fatto mentale la cui realizzazione fisica può essere affidata a qualunque mezzo. Nelle vecchie accademie l’insegnamento è ancora spesso basato sulle antiche tecniche, e mentre gli studenti faticano attorno ad una tecnica superata, il loro cervello è già nel prossimo futuro. Anche nelle cosiddette “scuole d’arte” sarebbe necessario sveltire l’insegnamento, abbandonare i preconcetti che legano l’arte solo a certe tecniche, considerare che non tutta l’arte è destinata all’eternità, abolire l’idea di fare una scuola per la produzione di opere da élite, soprattutto non parlare più di arte ma di comunicazione visiva. Se ci sarà arte sarà un fatto assolutamente indipendente dalla scuola. Noi possiamo educare a capire l’arte (la comunicazione visiva), ma non possiamo formare artisti e tanto meno genii.
(…) facciamo quindi un programma per una scuola tecnica di comunicazione visiva, dove si mettano a punto i problemi di oggi e non di ieri, dove si faccia della ricerca sul domani sia come mezzi di comunicazione visiva, sia come metodi di lavoro. E dove si insegni, a puro scopo culturale e non operativo, anche la storia dell’arte, assieme però a studi di sociologia e psicologia. Naturalmente dicendo storia dell’arte penso alla storia dell’arte di tutti i popoli, non a quella che ci hanno insegnato che partiva dalla preistoria e saltava subito alla Grecia e all’arte di casa nostra. Oggi tutto il mondo è da conoscere e fra poco conosceremo anche se sulla luna c’è qualche forma di comunicazione visiva. Perdiamo dei valori? No, ne acquistiamo degli altri".

Da: Bruno Munari, Design e comunicazione visiva, Laterza 1968

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