martedì 11 marzo 2008

Silenzio, musica e tecno-dipendenza.

Mi ha divertito molto, ieri, leggere sulle pagine del New York Times (world trend) riportate da la Repubblica, un articolo a firma di Mark Bittman dal titolo: “Disconnecting in Order to Reconnect”.
Il giornalista denuncia la sua tecno-dipendenza e la difficoltà titanica provata nel tentativo di scollegarsi, per 24 ore, da rete, cellulari, mp3, televisori et similia. Se già un viaggio intercontinentale con spegnimento obbligato della strumentazione elettronica crea sintomi di astinenza, un giorno interno porta a profonde crisi di identità. Staranno tutti bene? Forse sta succedendo un disastro là fuori, qualcuno avrà bisogno di me, cercherà in tutti i modi di mettersi in contatto con me…?

Ma come facevamo prima dell’avvento dei cellulari? Chi eravamo prima? Quanto poco è bastato per trasformarci in piccoli esseri convinti che nulla possa (o debba) succedere se noi non ne siamo immediatamente informati. Tomatis diceva: siamo solo antenne in ascolto dell’universo. Ha ragione. Siamo in ascolto, continuo, di qualcosa che viene da fuori, imponendosi alla nostra attenzione, riempiendoci il tempo e le orecchie… a tal punto che, ogni tanto, viene - da dentro - l’esigenza imponente di silenzio. Faticosissima da raggiungere, ma altrettanto difficile da ignorare.

Non voglio fare l’antitecnologica di turno, non sopporto chi si riempie la bocca con il “come stavamo bene quando stavamo peggio”. Non mi interessa la dietrologia. Viviamo in questo mondo, in questo tempo, inutile perder tempo a rimpiangere un passato che è diventato dolce grazie alle gentili metamorfosi della nostra memoria. I tempi sono quello che sono, offrono opportunità (affordance direbbero gli eruditi), uno può decidere di coglierle o meno, senza vittimizzarsi troppo nell’uno o nell’altro caso.

Ma trovo che abbia ragione Bittman. Per ricordarsi chi siamo, a volte c’è bisogno di staccare. Un grande direttore di orchestra diceva: le note sì, fantastiche… ma il silenzio, quella è la vera magia. Il silenzio che dà senso alla note e le note che danno senso al silenzio, in una dialettica che non può esistere se togliamo uno dei fattori. La musica è fatta di entrambi e, penso, anche la vita.

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