lunedì 25 febbraio 2008

Perché i miti sono importanti e cosa ci insegnano

Una breve lezione su miti, fiabe e sul loro significato (da un punto di vista filogenetico ed ontogenetico) da colui che è considerato, a ragione, il più profondo conoscitore dei miti del mondo, Joseph Campbell. Il brano che riportiamo è tratto dal libro Il potere del mito (pubblicato in Italia da Guanda), un'intervista in cui Campbell parla di quanto ha imparato sui miti in oltre cinquant'anni di studio.

[…] I miti non sono i sogni di un altro popolo, sono i sogni del mondo, sogni archetipici che riflettono i grandi problemi dell’uomo. Servono per riconoscere i momenti di passaggio. È il mito che dice come rispondere a certe crisi, alla delusione, alla felicità, al fallimento o al successo. I miti mi dicono dove mi trovo.
[…] Esiste una sequenza tipica di azioni eroiche riconoscibile nelle storie di tutto il mondo e in periodi storici diversi. Potremmo dire che la vita dell’eroe mitico è un archetipo che si ripete in molti paesi e popoli. Di solito, l’eroe leggendario è colui che fonda qualche cosa: il fondatore di una nuova epoca, di una nuova religione, di una nuova città, di un nuovo modo di vita. Per trovare qualcosa di nuovo, si deve abbandonare il vecchio e andare alla ricerca dell’idea seminale, un’idea germinale che avrà il potere di far nascere il nuovo.
I fondatori di tutte le religioni hanno intrapreso questa ricerca. Buddha si ritirò in solitudine e quindi rimase a sedere sotto l’albero della conoscenza immortale, dove ricevette l’illuminazione che ha rischiarato l’Asia intera per 2500 anni. Dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni Battista, Gesù andò nel deserto per quaranta giorni: e fu da quel deserto che egli tornò con il suo messaggio. Mosé salì in cima alla montagna per poi discendere con le tavole della legge. Poi abbiamo l’eroe fondatore di una nuova città: quasi tutte le antiche città greche furono fondate da eroi che partirono alla “ricerca” e vissero avventure sorprendenti che li portarono a fondare una città. Possiamo anche dire che il fondatore di una vita, la tua o la mia, se la viviamo come nostra, invece di imitare quella di qualcun altro, proviene comunque dalla ricerca.
[…] Le fiabe servono a divertire e molte sono a lieto fine, ma prima di concludersi presentano tipici motivi mitologici: il protagonista si trova in una situazione davvero difficile e sente una voce o avverte una presenza che gli viene in aiuto. Le fiabe sono destinate ai bambini. Molto spesso trattano di una ragazza che non ha voglia di diventare donna, che di fronte a questo momento di trasformazione si fa recalcitrante. Così va a dormire, fino all’arrivo di un principe che, superati mille ostacoli, le dà motivo di credere che dopotutto diventare donna non è poi così male. Molte favole dei fratelli Grimm presentano una ragazza che non vuole più crescere.
I rituali delle cerimonie primitive di iniziazione erano tutti fondati nel mito e riguardavano l’uccisione dell’io infantile e la nascita dell’adulto, sia nel caso di un ragazzo, sia in quello di una ragazza. La cosa è più difficile per il ragazzo che per la ragazza, perché nel caso della ragazza è la vita a prendere il sopravvento. La ragazza diventa una donna, che lo voglio o no, mentre il ragazzo deve voler diventare uomo. Con l’arrivo delle mestruazioni la ragazza diventa donna. L’altro passaggio di cui deve prendere coscienza è la gravidanza, la maternità. Il ragazzo deve per prima cosa recidere i legami con la madre e trovare in se stesso l’energia per crescere. Questo è ciò che dice il mito: “Giovane, vai alla ricerca di tuo padre”. Nell’Odissea Telemaco vive con la madre. Quando compie vent’anni è Atena a dirgli: “Vai alla ricerca di tuo padre”. È il tema che attraversa tutte queste storie. Talvolta si tratta del padre mistico, altre volte invece, come nell’Odissea, del padre naturale.
La fiaba è il mito del bambino. Ogni fase della vita ha i suoi miti. Quando cresci hai bisogno di una mitologia più solida. Naturalmente tutta la storia della crocefissione, che è un’immagine fondamentale nella tradizione cristiana, parla del manifestarsi dell’eternità nell’ambito dello spazio e del tempo, dove le cose sono smembrate. Ma parla anche del passaggio, dalla dimensione spazio-temporale a quella della vita eterna. Crocifiggiamo i nostri corpi temporali e terrestri, lasciamo che siano fatti a pezzi, e attraverso questo smembramento, entriamo nella sfera spirituale che trascende tutte le pene della terra. Esiste un tipo di crocefisso noto come “Cristo trionfante” nel quale Cristo non ha il capo reclinato e gocciolante di sangue, bensì dritto e con gli occhi aperti, come se fosse arrivato volontariamente alla crocefissione. Sant’Agostino ha scritto da qualche parte che Cristo è andato alla croce come lo sposo va incontro alla sua sposa.

Da: Joseph Campbell, Il potere del mito. Guanda, 1988

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