
Proviamo a pensare, ad esempio, alla nostra grande capacità di creare mostri e disastri. Montaigne sempre arguto soleva dire: “La mia vita è stata piena di terribili disgrazie, la maggior parte delle quali non si è mai verificata”. Focalizzazione ed immaginazione sono due importanti risorse che, lasciate alla guida della nostra vita senza controllo, possono giocarci brutti scherzi e portarci alla rovina.
Mi spiego meglio. Pensare “al peggio” è – di base – un istinto naturale utile ed adattativo: ci aiuta ad attrezzarci e a prepararci ad un’ipotesi di occorrenza rischiosa, in modo da gestirla al meglio. Quando però questo pensiero (chiamiamolo, in termini vagamente new age, negativo) si insinua nel nostro cervello e ne diventa il padrone, allora dobbiamo fermarci e riflettere. Non abbiamo la sfera di cristallo. Le cose potrebbero andare sia bene, che male. Non possono andare sempre e solo male. Il buon senso ce lo dice, e anche la vita, la statistica, la storia.
Se il nostro cervello riesce a rimandarci sempre e solo immagini di sciagure e il peggio di quello che potrebbe capitare, siamo caduti nel circolo vizioso della focalizzazione. E’ il meccanismo che induce a rappresentarsi in modo esplicito solo un sottoinsieme degli stati del mondo: solo una parte quindi delle sue numerose, forse infinite, possibilità. Senza controllo, possiamo arrivare all’assurdo – purtroppo tutt’altro che raro – in cui siamo infelici anche quando avremmo tutte le condizioni per essere felici (perché non osserviamo la realtà, ma siamo sempre lì a cullare le nostre paure e le nostre aspettative di disastro).
Il grande psicologo americano William James (fratello dello scrittore Henry, splendida famiglia quella!) scrisse a questo proposito: “Assistiamo al paradosso di un uomo che si vergogna da morire perché è il secondo pugile o vogatore del mondo. Che sia più veloce di tutti gli altri esseri al mondo tranne uno, non basta”. Pensiamoci.
Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/magomerlano/749400720/
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