mercoledì 2 aprile 2008

Quando la malattia minaccia la vita

Ciascuno di noi nell’arco della propria esistenza, prima o poi, dovrà fare i conti con la malattia e la modalità con cui affronterà questo attacco all’integrità del proprio mente-corpo dipenderà da molti fattori, dall’età, dal genere, dai tratti di personalità (ottimista/pessimista), dalla condizione economica, dalla costellazione familiare e i legami parentali, dall’integrazione nel tessuto sociale, dal credo religioso, dai valori riconosciuti.
Con la malattia abbiamo un approccio su un duplice livello,interiore, psicologico ed esteriore, sociale.

La malattia spezza l’equilibrio fra risorse interne e richieste esterne, costringendoci a prendere consapevolezza del nostro essere finito, materiale, organico, che insidia le nostre aspirazioni spirituali, mistiche, filosofiche di possedere quella scintilla d’infinito che ci rende unici nell’universo.
La malattia ci ricorda la nostra natura transeunte, provvisoria, di passaggio su questo pianeta, in questa epoca, e ci rende improvvisamente vulnerabili, fragili, ma anche furiosi, increduli, che tale rovina stia accadendo proprio a noi.

Dopo una iniziale negazione difensiva, si prende coscienza che il nostro mente-corpo ha iniziato un processo di deterioramento, e si aprono due possibilità: subire questo processo, cercando un vantaggio secondario, una maggiore attenzione a noi in quanto malati, oppure lottare per recuperare l’integrità perduta. Quale direzione prenderemo dipende dalla nostra personalità, ma anche dalla situazione contingente, ancora coesistenza di aspetti interiori ed esteriori.

Altre considerazioni sono d’obbligo per chi affronta tutti i giorni la malattia dell’Altro per professione, medici, infermieri, psicologi. In questi professionisti la complessità dei fattori in gioco è moltiplicata dal ruolo professionale e dal loro essere persone tra altre persone dolenti. Gli approcci possono essere diversi, ma in ogni caso è indispensabile un certo distacco per non vanificare la prospettiva di cura, espressa con modalità dipendenti anche da una formazione prevalentemente medica o psicologica. La vicinanza con il malato, sebbene espressa secondo modalità personalissime, può facilitare il processo di guarigione, in quanto asseconda il bisogno di accoglienza, di ascolto, di attenzione manifestato dal paziente, ma occorre competenza e cautela.

Un altra prospettiva si apre quando ad ammalarsi è un professionista della salute, con tutto il carico di competenze e conoscenze che rende le autodiagnosi insidiose e terribili, in quanto riconosciute come vere.
La cultura scientifica appresa per esercitare una professione d’aiuto sembra ritorcersi contro, diventando chiarissime le conseguenze, le possibili evoluzioni di un disturbo psico-fisico: a volte l’ignoranza permette una vita più tranquilla.

Forse ci ritroveremo a fare un bilancio della nostra esistenza fino a quel momento con i rimpianti e i rimorsi, forse ci infurieremo perché non potremo tenere fede agli impegni presi e deludere le persone che contavano su di noi.

Forse avremo l’occasione per riflettere, dopo tanto affannarsi e correre, su quali siano le priorità, i valori, le persone veramente importanti per le quali vale la pena lottare e guarire, perché hanno ancora bisogno di noi, o semplicemente ci vogliono bene.

A tutti coloro che stanno lottando con la malattia, auguro di trovare sempre la forza per opporsi ragionevolmente ad una fine prematura, senza perdere di vista il valore che, anche la malattia, come esperienza, arricchisce il nostro vissuto.

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