
Metti che a sedici anni vai ad una conferenza, trascinato da una forza che non sai denominare né capire: chiamala noia, voglia di uscir di casa o curiosità. Non sai chi parlerà, né di cosa. Ti trovi davanti un vecchio signore che ti colpisce per i suoi capelli bianchi e per i discorsi che fa. Parla di una disciplina di cui non sai nulla, l’architettura, ma lo fa con una passione assoluta, coinvolgente e contagiosa. Non ci pensi per anni. Poi, improvvisamente, ti svegli e ti rendi conto che è quello, proprio quello, che vorresti fare per tutta la vita.
Non è la trama di un film, ma la storia di Frank Gehry

Sydney Pollack, nel documentario che ha dedicato alla vita di Gehry, lo ha chiamato “Creatore di sogni”. Uno che non si arrende mai: non davanti alle parole dell’insegnante che vuole fargli cambiare strada, non davanti ai materiali che sembrano incompatibili con la forma che chiede di essere realizzata, e nemmeno davanti alle soluzioni troppo semplici. Quando sono troppo semplici? La sua risposta ha delle evocazioni pascaliane: è troppo semplice quando non soffri almeno un po’ per arrivarci. È un percorso che va dalla semplicità alla complessità e poi torna indietro, un passaggio continuo dalla mente alla carta, da questa ai modellini tridimensionali e poi di nuovo alla carta, alla mente, in un continuo circolo virtuoso. Di modellini non ne fa mai uno solo, ma svariati e in scale diverse: è troppo facile innamorarsi di una forma in una dimensione, per capirla bisogna vederla in scale diverse, solo allora riesci a vedere quello che hai di fronte e ti stacchi un po’ dall’immagine che hai in testa.
Cosa fare, dunque, quando la vita si oppone ai nostri progetti, quando siamo così confusi da non ricordarci neanche quali siano i nostri progetti? Andare avanti, darsi da fare, confrontarsi con le critiche senza assimilarle troppo, cercare di guardare i problemi con occhi nuovi, diversi. Stupirsi sempre della soluzione che arriva, quasi magicamente, e non disconoscerla quando l’abbiamo messa in pratica. Costruire un edificio è un processo titanico: ci vuole così tanto tempo che, quando è finito, sei talmente stanco da vederne ormai solo i difetti. Ma, come dice Gehry, basta aspettare che ci entri la luce, e tutto prende vita.
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